Quand’è che un brand travalica l’immagine di abbigliamento, creando vestiàrio di culto, qualcosa in cui esprimersi?
Tra i migliaia di marchi esistenti al mondo, non sono poi molti quelli capaci di creare connessioni anche tra estranei: notare tra la folla, o in televisione, un logo familiare cucito su stoffa e sentirsi un po’ più vicino alla persona che lo sfoggia, senza neanche conoscerla. La vera origine di questa connessione ha una forte radice tentacolare che si dipana oltre la semplice smània per l’abbigliamento. Si chiama sottocultura. Ha molto a che fare con i giovani. Non giovani qualsiasi. Ribelli. Ogni sotto/contro-cultura si riconosce in pratiche condivise. Ascoltare un certo tipo di musica. Possedere un’attitudine precisa. "Rivelarsi" attraverso determinati marchi di abbigliamento. Gli appartenenti alle sottoculture rigettano trend modaioli schizzofrenici, per loro i capi sfoggiati sono status immortali da tramandare di padre in erede, reliquie simboleggianti l’estremo legame a un piccolo mondo fatto di forme contestatrici di aggregazione. Per quanto i brand amati dalle sottoculture possano vivere anni sulla cresta trasversale della moda, snaturando in qualche modo la magia legata al background originale ‘ove si sono formati, quei loghi cuciti avranno sempre il cuore radicato per strada, tra i giovani ribelli con l’ago della bussola ben piantato sul rimanere se stessi. Questa è la loro forza. Avere una Storia legata a un’ideale, un’Attitudine. Essere “sotto” e “contro” cultura. La sregolatezza innovativa di un designer italiano tra i più talentuosi mai esistiti, covata con cura da un erede-prodigio, ha dato vita a uno di questi marchi eterni, cardine, come solo pochi altri, della ribellione giovanile legata al mondo delle gradinate… Un marchio controverso, rivoluzionario… "istigante" a partire dalla sua impronta di fabbrica: due lenti nere incastonate nel bordo del cappuccio. A coprire il volto.